Ispirato al Faust di Goethe, il film di Aleksandr Sokurov deve essere visto al cinema, non foss’altro perché vi obbliga a non alzarvi e ad accettare quel senso di claustrofobica angoscia che vi prende a sentirvi mancare spazio e aria. A parte le riprese espressioniste che creano di per sé distorsioni allucinogene, si avverte poi questa continua incapacità dei personaggi di appropriarsi di uno spazio proprio. Sono sempre soffocati, gettati l’uno sull’altro, ingorgati, impediti nei movimenti. Non riescono a passare attraverso una porta o un porticato, non riescono a stare nello stesso luogo, senza toccarsi, senza spingersi, senza rimanere intasati, bloccati, ostruiti, ammassati, ammucchiati, accatastati insieme a mucchi di cose. Mefistofele sta sempre addosso a Faust. Dà fastidio. Un fastidio che perdura anche in quella strana sensazione di prigionia che si avverte a stare nella testa di Faust, ad ascoltarlo mentre si parla, a guardare un intorno filtrato dai suoi occhi, a partecipare a tutte le deformazioni persino aberranti del mondo in cui è gettato. E poi comprendi Faust, avverti il suo bisogno di andare oltre, di superare quel limite, quell’impedimento, di voler cercare spazi vasti, magari infernali, inospitali, desertici, ma che sono al di là della costrizione, che è vincolo opprimente e limitante. E al diavolo! persino il diavolo, Faust va oltre, lo supera, lo sotterra. Diviene l’oltreuomo nietzscheano. Costantemente cerca di superare e superarsi. La sua hybris è potente sin dall’inizio, a tal punto da ridurlo a un morto di fame: vuole conoscere il senso della vita. Lo cerca dentro un cadavere e trova carne; lo cerca dal padre e trova uno straniero; lo cerca nella Bibbia e trova parole; lo cerca nella verità dell’amore e trova la morte; lo cerca nello spazio e trova cose; lo cerca tra la gente e trova corpi. E Faust va sempre oltre. Cerca ancora, trova ancora e ancora va oltre. Senza mai sosta, senza mai riposo, senza mai quiete. Al suo fianco è Mefistofele mentre cerca e mentre trova, che gli dà tempo, ma che è anche lo scacco. Ma Faust alla fine va oltre anche lui.
Il film ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia del 2011 e lo merita. Epperò, nonostante questi pregi artistici, il Faust di Sokurov è quello che si dice un film pesante, gravoso, arduo, stancante sino quasi alla noia. Non si tratta di lentezza, perché il regista non dà tregua al suo spettatore. Rimane un film per un pubblico pronto, consapevole dell’arte del regista russo, del suo pessimismo e del senso della sua tetralogia sul potere che iniziata con Moloch trova in Faust il suo approdo più riuscito.
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Faust
sceneggiatura e regia di Aleksandr Sokurov
Con: Johannes Zeiler (Faust), Anton Adasinskiy (l’usuraio), Isolda Dychauk (Margherita), Georg Friedrich (Wagner), Hanna Schygulla (la moglie dell’usuraio)
Russia, 2011